Definizione di infiammazione
L’infiammazione racchiude un insieme di processi biologici, che sono caratterizzati dall’attivazione di diverse cellule (non soltanto immunitarie) al fine di proteggere l’organismo dai batteri, funghi, virus, parassiti e tossine. Da un lato l’infiammazione elimina le infezioni o gli agenti estranei e dall’altro promuove la riparazione dei tessuti e la guarigione. È interessante sottolineare che il sistema immunitario richiede un grande quantitativo di energia biochimica per funzionare e non è un caso che gli aspetti metabolici, ormonali e nervosi si mettano in moto per garantire le richieste quotidiane.
Infiammazione acuta e cronica: quali differenze?
L’infiammazione cronica presenta sintomi differenti da quella acuta, la quale è temporanea e mostra i tipici segni di rossore, bruciore, calore, gonfiore con eventualmente la comparsa di febbre. La situazione è invece diversa nella cronicità, dove compaiono sintomi più eterogeni quali:
- Mancanza di concentrazione;
- Calo dell’appetito;
- Incremento della pressione ematica;
- Dislipidemia (es. colesterolo, trigliceridi);
- Stanchezza;
- Irritabilità o umore instabile;
- Problemi di sonno;
- Calo della libido sessuale;
- Desiderio di isolamento sociale;
- Riduzione della motivazione generale.
L’infiammazione sana e funzionale si svolge tramite un’attivazione temporanea dei meccanismi infiammatori al fine di far fronte alla minaccia presente. Questo stato diventa cronico quando per la presenza di vari fattori la capacità di terminare l’infiammazione viene meno e si promuove uno stato infiammatorio non più funzionale alla risoluzione di un danno di per sé già assente. Inoltre, l’infiammazione sistemica cronica ha un’intensità bassa, sotto-soglia e silente, che non viene colta dai normali esami diagnostici. Senza tralasciare che l’infiammazione cronica si distingue da quella acuta per la partecipazione di mediatori e cellule immunitari parzialmente differenti.
Le conseguenze dello stato infiammatorio
Il cambiamento da uno stato infiammatorio acuto ad uno meno intenso ma prolungato può causare danni collaterali alle cellule tramite lo stress ossidativo e la perdita della tolleranza immunologica, cioè la capacità del sistema immunitario di tollerare la presenza di elementi normalmente innocui o addirittura dello stesso organismo. In aggiunta può portare al malfunzionamento dei tessuti e degli organi, oltre a determinare una maggiore vulnerabilità alle infezioni ed ai tumori nascenti.
L’infiammazione sistemica di basso grado aumenta il rischio di:
- Sindrome metabolica con pressione alta, iperglicemia e dislipidemia;
- Diabete di tipo 2;
- Steatosi epatica;
- Ipertensione arteriosa;
- Malattie cardiovascolari (indipendentemente dal colesterolo);
- Patologie renali;
- Alcuni tipi di cancro;
- Sintomi simil-depressivi ingiustificati;
- Malattie neurodegenerative;
- Autoimmunità;
- Osteoporosi;
- Sarcopenia (perdita del tono e della funzionalità muscolare).
Le fonti dell’infiammazione
Risalta per importanza l’aumentata secrezione di mediatori dell’infiammazione da parte delle cellule, non soltanto immunitarie. L’infiammazione sistemica è attivata da fattori rilasciati per cause fisiche, biochimiche e metaboliche piuttosto che da infezioni acute. In merito, potrebbero eventualmente parteciparvi anche infezioni croniche e recidivanti di alcuni virus come per esempio Epstein Barr, HIV, epatite C, cytomegalovirus, ma soprattutto in combinazione ad altri fattori. Inoltre, vi contribuiscono le alterazioni della riproduzione delle cellule, lo stress ossidativo ed i cambiamenti nell’espressione genetica, oltre ai seguenti fattori:
- Disturbi del sonno notturno;
- Isolamento sociale;
- Stress psicofisico prolungato;
- Alimentazione scorretta;
- Infezioni ripetute;
- Sedentarietà fisico-motoria;
- Alterazione disbiotica dei microrganismi;
- Eccesso di peso;
- Esposizione ed accumulo di sostanze tossiche ambientali.
Benché l’infiammazione cronica tenda ad aumentare nell’invecchiamento patologico, essa riguarda anche una crescente fetta della popolazione giovane dei paesi industrializzati. Di fatto gli studi sostengono che, sebbene la genetica possa contribuire in qualche modo, il contributo più determinante viene sicuramente dallo stile di vita e dall’esposizione all’ambiente sociale ed ecologico circostante.
In sintesi i risultati degli studi mettono in luce i paradossi della modernità, con tutto il carico di sedentarietà, scarsa alimentazione, esposizione agli inquinanti, orari irregolari e stress lavorativi e sociali impensabili qualche millennio di anni fa.